E’ una guerra senza vinti e senza vincitori.
E’ solo guerra -è la guerra degli dei- data dal solo piacere della battaglia.
Mi s’è aperto il labbro -s’è spaccato- contro i tuoi denti e sento il sapore del ferro mischiarsi a quello della tua bocca. Mi togli l’ossigeno nell’assalirmi mentre cerco di raggiungere i tuoi capelli.. -e togliti sto cazzo di laccio-. Togli sto cazzo di laccio -e lascia che te lo tolga-. Mentre la luce t’illumina fra le ombre come la fiamma d’una candela e mi porti s’un galeone, lontana da questa città, aggrappata alla mia realtà.
E cerco di trovare un’àncora verso la città, incidendoti la schiena con le unghie -ma a te viene meglio, come non so- e senti come si muove; senti come la muovi e la mia mente vola e sei nudo e ti sento.
Cado in un vortice che m’impedisce di realizzare il momento in cui vinco la guerra e quello in cui mi sovrasti -è rhum quello affianco a te?- unendoli fra loro e lasciandomi precipitare -come puoi passarmi il rhum con un uncino; e tu non hai un uncino-. Non respiro.
E’ come se leggessi la mia mente e trovo la tua mano a soffocarmi mentre mi guarda un demone nascosto fra le tue ciglia, nell’angolo della tua anima ed io sollevo il mento, ti cedo il collo. E nemmeno quel bastardo è arrivato a tanto, ed ho sempre avuto il terrore di soffocare. E rido. Rido ancora, ancora un’ora.
E fammi soffocare, chiusa nella tua cassa toracica come fossi in cambusa e fossi in combustione. Perchè sono in combustione, perchè ti cedo il collo e mi marchi la schiena. -Che poi, cazzo, te le mangi pure le unghie- ed io mi chiedo se tu stia davvero incidendo pelle.
E stò zitta.
Cazzo, stò zitta.
Perchè sei l’assenza d’ogni sostantivo.
Ed ora guardo lo specchio. Vedo la mia schiena contro uno specchio.
Ed ora ho iniziato la mia marque come Phèdre.
E mi si dev’esser spostato un nervo, e voglio che resti così. Sbagliato.
Come se mi sussurrassi all’orecchio.
E ti precedo.
-Passami il rhum, Uncino.-