
Le palpebre lasciavano intravedere il movimento delle iridi sottostanti che si muovevano nervosamente. La fronte olivastra era imperlata di sudore. Socchiuse appena gli occhi quasi fosse sul punto di svegliarsi ma ricadde immediatamente nel sonno. Un sonno agitato e privo di requie.
Camminava persa in un luogo pieno d’una densa nebbia bianca. Lui si stagliava fra i banchi bianchi, quasi li fendesse. Era alto, lo aveva sempre paragonato ad una statua. Così imponente e così tonico. Lo vedeva, ora, avvicinarsi fra l’erba alta col sorriso sul viso e quella luce inconfondibile -di chi sa cosa vuol dire vivere- negl’occhi, le sembrava che fosse avvolto da una luce dorata; le carezzò la guancia prima di svanire alle sue spalle e riapparirle affianco ridendo. Si sentiva girare la testa mentre lo cercava con lo sguardo, mentre il mondo accanto a lei cambiava ogni secondo, entrando ed uscendo in quella nebbia irreale. Si sentiva sola e smarrita in una parte di mondo che non riconosceva mentre, ora, precipitava verso il fondo.
Le sembrava d’esser finita sul fondo degli abissi. Sentiva di non poter respirare ed il corpo era così pesante. Provava in tutti i modi a risalire ma era troppo pesante. Lui era svanito, lo cercava con lo sguardo, lo cercava ora correndo sul fondale e poteva respirare. Lei respirava. Scosse il capo e di colpo prese fiato e tutto fu bianco.
Aprì gli occhi, col terrore d’esser annegata e si trovò sdraiata a letto e lui era lì, era proprio lì, steso affianco a lei fra le lenzuola bianche e la luce della luna ch’entrava dalla finestra. Lo osservò dormire, il torace d’ebano s’alzava ed abbassava fra le lenzuola di lino; gli carezzò il viso. Lui si svegliò, le sorrise, con quel sorriso inconfondibile –di chi sa cosa vuol dire vivere- e la fece ricadere sul letto con la schiena prima di cominciare a baciarla. Come se fosse l’unica cosa che contasse. Le grandi mani si muovevano lungo la linea del busto scendendo sui fianchi prima di stringerli nell’attimo in cui la penetrò. Con quella disperazione che ti porta a smettere di respirare. Lei spingeva il bacino verso di lui mentre urlava, stringendolo fra le gambe. Durò un istante prima che la luce l’abbagliasse ancora una volta, costringendola a volgere il viso di lato. La nebbia bianca la travolse nuovamente.
Respirava con affanno ed ora aveva gli occhi socchiusi e non sapeva più se stava sognando o semplicemente ricordando. Lo sentiva urlare nella nebbia che l’avvolgeva. Lo sentiva urlarle contro e lo vedeva andarsene lanciando le sue cose. Sentiva lo stomaco chiudersi ed il respiro mancarle mentre il dolore prendeva il sopravvento su tutto. Poi la nebbia la trascinò ancora lontana, mentre i primi raggi dell’alba s’affacciavano fra le fessure delle tapparelle, illuminandole le gambe.
Quando li riaprì era stesa su d’un lettino in spiaggia, lui era in acqua e la chiamava. S’alzò, andando verso il bagnasciuga, sentiva risuonare nella mente il suo tono grave, come s’avesse l’eco: “amore è pieno di pesci, vieni a vedere! E’ uno spettacolo, cazzo! E’ la vacanza migliore della nostra vita!”. La abbracciò baciandole la tempia prima di sollevarle il viso e baciarla. Baciarla così profondamente che le sembrava di sprofondargli dentro, come se fossero un’unica cosa, come se s’unissero in un unico corpo. Poi lui la schizzò e lei rise prima che iniziasse a girarle la testa. Si sentì cadere all’indietro. Lo sentiva ridere in lontananza.
Erano seduti al ristorante e lui le accarezzava la mano; in una frazione di secondo si trovarono ancora una volta in camera da letto e di nuovo i loro corpi s’avvinghiavano l’uno sull’altro. Lui spingeva contro il suo bacino e lei sentiva il calore propagarsi in tutto il corpo sempre di più, ad ogni spinta sempre un po’ di più. Il respiro le si chiudeva in gola. Le unghie conficcate nella sua schiena e la mente lontana, in un angolo che non poteva essere raggiunto. La girò con rapidità, iniziando a prenderla da dietro mentre con la mano le teneva il viso schiacciato fra i cuscini. Ancora una volta la luce le accecò gli occhi. Lui s’alzò d’improvviso dal letto, lasciandola sola; la sua figura pareva sciogliersi in nubi di fumo bianco verso una luce lontana. E lei si sentiva morire, come se l’ossigeno fosse finito e cadde rotolando dal letto mentre gli occhi si chiudevano sulla sua schiena ch’andava ad oltrepassare la porta.
La stanza era buia ed urlava ora. Lo sentiva urlare con una tale rabbia da farle venire i brividi e desiderare di divenire parte del muro contro il quale si sentiva al sicuro.
“Ancora ed ancora, quel ritmo martoriante nelle orecchie.”
“È solo una serata.”
La osservò con una rabbia tale da spaventarla; la guardo come se non valesse una moneta bucata.
“Sempre le tue serate e la tua musica di merda!”
Colpì il muro affianco al suo viso con un pugno.
“Ti prego smettila; così mi fai male.”
“Sei sbagliata, potresti esser meglio di così; sforzati.”
“Scusami, forse è meglio se stiamo a casa.”
Respirò. Respirò come se il respiro le mancasse da giorni ed i polmoni le bruciarono. Sentiva il peso delle lenzuola sulle gambe. Si guardò attorno e trovò la propria stanza, soffocata in un’alba di mezza stagione. Volse lo sguardo affianco a sé, lasciandolo scorrere nel seguire la mano sinistra che carezzava il lato vuoto del letto. La luce giocava fra le pieghe delle lenzuola bianche, bucando il buio ch’opprimeva la stanza. Sospirò, e chiuse gli occhi lasciandosi ricadere sul cuscino.
<<E’ solo il vento.>> recitò.
<<E’ solo la primavera>> si sdraiò
<<E’ solo abitudine>> e si addormentò.